Forio 1892 – 2012
Colpa del sole? Tra Maltese e Auden.
di Emanuele Verde. Forio, fine ‘800. Due fazioni capeggiate dai medici Vincenzo Morgera e Matteo Verde si contendono palmo a palmo l’arena municipale. Non c’é però un’evidente divergenza programmatica che giustifichi i tradimenti, i colpi bassi, l’instabilità amministrativa, fino alla nomina del Regio Commissario Straordinario. Dietro i due notabili più in vista, un altro sparuto gruppo di signori affolla la scena: l’ingegner Bonaventura Verde, fratello del medico condotto Matteo; il prof. Erasmo di Lustro, già Padre Giuseppe da Forio; Don Ignazio Coppa e, soprattutto, Vincenzo Marchetti, il segretario comunale, vero deus ex machina di tutte le amministrazioni comunali, l’uomo che pur di rimanere all’ombra del Torrione non accettò mai nessuna delle svariate proposte di nomina in comuni ben più importanti di quello che rimaneva pur sempre un modesto e marginale paese agricolo.
A un certo punto, nel 1892, dopo la morte di Morgera e l’improvvisa pacificazione delle fazioni in lotta, compare nel paese un libello anonimo, Cerenne (lett. Vagliando), una raccolta di sonetti in vernacolare foriano che prendono di mira l’intera classe politica del paese in maniera talvolta ironica, più spesso sarcastica e violenta. La firma delle composizioni è di un enigmatico “N’Ardica“ (Un’ortica). Il volumetto ha talmente tanto successo che il popolo ripete a mo’ di sfottò alcune delle terzine più caustiche contro i politici del paese. L’anno successivo, a distanza di due mesi appena (gennaio e marzo), il misterioso estensore fa addirittura uscire altre due versioni del libello, aggiornato e corretto sia nella metrica che per il contenuto delle strali, sempre più audaci, lanciate contro il potere costituito.
Solo moltissimi anni dopo, grazie a un altro intellettuale dell’epoca, il giornalista Luigi Patalano (padre del pittore Giuseppe Bolivar Patalano), si venne a sapere che l’autore di quella clamorosa iniziativa era lo scultore Giovanni Maltese e, ironia della sorte, la prima pubblicazione postuma dei sonetti (1954), fu interamente redatta da Giovanni Verde, figlio di quel Matteo Verde cui Maltese aveva dedicato, più di mezzo secolo prima, buona parte delle sue invettive.
Alcuni sonetti sono ancora straordinariamente attuali. Tra i tanti la mia preferenza va a due che spiegano ancora benissimo gli strumenti di cattura del consenso e la reazione impassibile, una vera e propria spirale del silenzio della classe politica locale davanti alle accuse montanti di cattiva amministrazione.
Di seguito li ripropongo:
DOPPE MMEDECHETE
Ghialema sòie e cchi l’à viste nasce,
Me su piscéte sòtte p’u delòre!
Ma isse m’à spiéte: “Quanne? A c’òre?
E cumme se chiammave la bagasce.
Ma e’ nsu stéte mèie traletòre.
E pu cu na ferrùzza mmène: “Avà sce”,
A itt, “stu cazòne e lèvete la fasce!”
Pe chègghie ch’è succiésse, Vì, mò mòre.
Mperò, si ciòggia mmèste n’ata vòte
Nunn’òggia èsse cchiù ccussì balorde,
Add’èsse u mése primme e dà lu vòte.
Tà nne te tratte mègghie de nu lòrde;
Ma tà nne sule, pòzz’ avé nu mòte,
E’ respettùse pure a lu chegnòrde!
DOPO LA MEDICAZIONE
Vada all’inferno lui e chi l’ha messo al mondo,
Me la son fatta sotto per il dolore!
Ma lui chiedeva:” Quando? A che ora?”
E come si chiamasse la bagascia.
Ma io non faccio mai il traditore.
E poi con un ferruzzo in mano ha detto:
“Giù il pantalone e togliti la fascia!”
È cosa da morire, Vito, quel che ha fatto.
Però se devo capitarci un’altra volta,
Non mi comporterò più da balordo,
Ci andrò soltanto prima che si voti,
Perché allora ti tratta meglio di un lord;
Ma solo allora, che gli venga un colpo,
E rispetta finanche un can randagio!
NU CUNSIGGHI’ E FAMIGGHIE
– Vì ch’è’ nun palle a bbiénte, agg’èsse ntise:
Tu t’a dimétte prìmme de dimà ne
O’ rummà nch’ ògne còs’ a na puttà ne,
Ca tutte quènte sìmme stèt’uffìse.
– Nòne, fratié, nun sònghe de st’avvìse:
Dòppe c’avésse pure na tartà ne
De scarpe ngule, s’adda tené mmane;
Nun s’adda mòve mènche s’è accise.
Tènte ne vinne de proteziùne,
Pòte l’uttantatré turrà bbenì:
E pu, nun dà mme rèss’a le cugliùne.
Miédeche sìnnech’e nutare e’ sònghe,
Sinneche mièdech’e nutà re sì;
E u paés’a fa chégghie che proponghe!
UN CONSIGLIO DI FAMIGLIA
Stammi a sentir, perché non parlo al vento;
Devi dimetterti prima di domani
O lascio ogni mia cosa a una puttana,
Perché noi siamo stati tutti offesi.
No, fratello, non son di quest’avviso:
Anche se uno riceva una tartana
Di calci in culo, deve restar saldo,
Sempre al suo posto pur se viene ucciso.
Di protezioni, tanto ne hai da vendere,
L’ottantatre può ancora capitare:
Non diamo quindi gusto a quei coglioni.
Medico, sindaco e notaio io sono,
Sindaco, medico e notaio sì
E il paese deve fare ciò ch’io propongo.
Il punto è che nonostante sia cambiato tutto, le dinamiche del potere sembrano invece essere sempre le stesse, tanto più che tra il sistema politico locale dell’epoca e quello attuale ci sono molte analogie. Allora come oggi un gruppo di notabili si contende il paese, senza però che le rispettive macchine elettorali siano incardinate in un meccanismo di partito che metta in collegamento la periferia con il centro. I rapporti personali sono così decisivi anche in ambito istituzionale. Anzi, oggi spiegano del tutto l’appellativo di notabile, mentre in passato considerazioni di status legate, ma non perfettamente sovrapponibili alle condizioni economiche dei soggetti, contribuivano a spiegare la mappa del potere. Anche la figura del segretario comunale che tutto può è straordinariamente sovrapponibile a quella dei funzionari comunali di oggi, custodi dei segreti del palazzo e a cui bisognerebbe chieder conto dello “stato dell’arte” molto più che alla politica politicante.
Soprattutto, la “voce fuori dal coro” di Maltese continua a descrivere il presente. Il popolo sente in maniera viscerale la continua lacerazione delle regole e in ambito elettorale questo spiega l’occasionale apertura di spazi di protesta che però non si emancipano mai dalla fase espressiva, dall’enunciazione di petizioni di principio da cui poi far discendere le leggi della convivenza. Passatemi la metafora un po’ spinta: come un’amante perennemente impegnato nei preliminari, mentre tutti gli altri fottono!
Quando finirà questo incantesimo? Non lo so. Forse aveva ragione Auden, che nella sua celebre poesia di commiato da Forio, “Good bye to the Mezzogiorno” scriveva a proposito dei foriani:
[…] tuttavia (se
Leggo bene le loro facce dopo dieci anni)
Sono senza speranza. I Greci solevano chiamare il sole
Colui-che-colpisce-di-lontano, e da qui, dove
Le ombre hanno orli a taglio di lama, e l’oceano d’ogni giorno è azzurro,
Capisco che cosa intendevano: il suo occhio
Fermo e sdegnoso si fa beffe di qualsiasi idea
Di mutamento […].
3 Commenti, Commenta o fai un Ping
Ciro Castaldi - Data: 30/12/2012 09:15:37 - IP: 79.9.151.xxx
Mi fa piacere che tu, Emanuele, scopra Maltese poeta. All’uopo ti consiglio di leggere sempre tratto dal “Cerenne” la poesia “Na rustin” e “Nata p’nzat”, l’ultima dedicata al sindaco Monti in occasione dello spettacolo “Vanti” da me scritto, musicato,ed interpretato nonchè prodotto. E presentato a Forio il 21.10.1995.
Gerardo Calise - Data: 4/1/2013 18:28:54 - IP: 79.33.137.xxx
Manuè, non so se in altre occasioni hai scritto altri post di questo genere. Quello in questione è di alta caratura, mi vien facile , buon sangue non mente. Io, ti consiglio vivamente di seguire questa strada, il grande Giovanni Verde merita sicuramente un erede degno come te. Buon Anno
assunta della volpe - Data: 28/2/2013 13:19:43 - IP: 79.23.24.xxx
Splendido articolo! Grazie Emanuele :-)
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